Qualsiasi cambiamento innovativo resta sempre in primo luogo un fatto di mentalità personale, successivamente un ideale di un gruppo, un impegno della società , una responsabilità di istituzione ed infine un intervento normativo: quindi potremmo dire che ogni innovazione parte da pochi che ci credono e si battono per l’ideale… sino a giungere alla “Legge”. La strada inversa, che potrebbe risultare apparentemente più facile, non garantisce esiti sostanziali di condivisione, quindi di cambiamento effettivo.
La mission del singolo è il miglior pungolo per l’intervento delle istituzioni!
Mi sembra opportuno precisare che alcuni elementi da me richiamati potrebbero sembrare scontati, forse inutili; ma la pratica quotidiana (e lo può attestare chi vive la disabilità in qualità di genitore) talvolta è ben altro; ma non è affatto così! Nell’universo Scuola le famiglie ogni giorno combattono una lotta senza tregua per l’affermazione e il rispetto di diritti dei propri figli, peraltro normati dal Ministero e da testi legislativi ad hoc che hanno segnato la storia delle istituzioni educative e degli interventi assistenziali dello Stato in materia sociale (Cfr. Lg. 104/92
Una prima riflessione è quella che riguarda una sottile distinzione che ritengo molto importante, la quale – pur essendo teorica - ha risvolti operativi nel progettare ed attuare gli interventi d’integrazione della persona disabile.
E’ la
distinzione fra minorazione, deficit, disabilitĂ ed handicap:
la MINORAZIONE/MENOMAZIONE (“impairment”) è la perdita o una anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica (es. menomazione della capacità intellettiva, del linguaggio e della parola, auricolari, oculari, viscerali, scheletriche, deturpanti, generalizzate, sensoriali, ecc.);
- il DEFICIT è un fatto fisiologico costitutivo, a priori;
- la DISABILITA’ (“disability”) è una qualsiasi limitazione o perdita, conseguente a menomazione, della capacità di compiere un’attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali per un essere umano (cfr. soggetti a sviluppo neuro tipico);
l’HANDICAP è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età , al sesso ed ai fattori socioculturali.
In altri termini l’handicap è il risvolto contestuale del deficit: in un certo senso il deficit purtroppo è cascato addosso, ma l’handicap lo abbiamo creato noi.
Infatti: anche un deficit grave può risolversi in un piccolo handicap (se incontra una adeguata ricchezza di relazioni / attenzioni / strategie / strumentazioni / interventi), come d’altra parte un deficit lieve o piccolo può risolversi in un grosso o grande handicap qualora la differenza innescata dal deficit paralizzi il contesto e non ne consenta una (ri)strutturazione mirata.
Questa distinzione sta anche alla base della Legge Quadro n.104/92 e della classificazione internazionale OMS dell’ICF.
L’ INTEGRAZIONE / INCLUSIONE sono un binomio ampiamente sciorinato ormai ovunque, ma molto spesso reso sterile nella prassi dell’agire educativo: è in sé un fenomeno ed un processo- percorso complesso, che riguarda non solo la persona disabile ma tutto il contesto (persone, situazioni, ambiente, istituzioni e agenzie educative eterogenee: es. operatori socio-sanitari, assistenziali, riabilitativi, scolastici; genitori, compagni e gruppo-classe; istituzioni, gruppi di lavoro,; ecc.).
L’integrazione non è automatico o forzato inserimento, mettere dentro o accanto (oppure: “ognuno che fa – possibilmente bene- la parte che gli compete”), ma è far sì che intenzionalmente e consapevolmente la propria parte si integri in modo tale da facilitare il funzionamento di tutte le altre (= “funzionale a…”), far sì che tutte le altre parti raggiungano armonicamente il loro scopo, cioè che il mosaico si completi e funzioni.
Vorrei sottolineare con forza che per realizzare l’integrazione sono necessarie modifiche profonde, persistenti e continuative di tutti gli attori del sistema: organizzazione, rapporti fra i vari soggetti, aspettative, modi di guardare e valutare, ecc. Per essere inclusiva, l’integrazione esige e presuppone a monte l’integrazione fra servizi e fra le persone che a vario titolo interagiscono con il disabile.
L’integrazione non riguarda solo la scuola, ma tutti gli ambiti di vita: non a caso la L..104/92 richiama le integrazioni (plurali): famigliare, sociale, scolastica,
lavorativa (Riferimento al “Progetto di vita” e non solo al PEI).
Cos’è l’accoglienza dell’alunno diversamente abile? Qual è il senso autentico dell’accoglienza dell’alunno in e con difficoltà ?
L’ ACCOGLIENZA è una prospettiva d’ integrazione che si fonda su di un concetto dinamico e fluido di accettazione e andare incontro all’altro come riconoscimento e valorizzazione della diversità e del deficit per progettare in modo realistico -attivando tutte le risorse - e ridurre l’handicap.
L’integrazione scolastica è correlata:
ad un atteggiamento di accoglienza, che si legge attraverso la positività degli atteggiamenti dei compagni (che vanno preventivamente ed intenzionalmente aiutati dagli insegnanti con un percorso di educazione alla diversità e all’alterità !) e dei rapporti tra insegnanti ed alunni in situazione di handicap;
alla significatività dell’esperienza ed ai risultati ottenuti, indipendentemente dalla
gravitĂ del deficit.
Per valutare l’integrazione scolastica si possono prendere in considerazione alcuni indicatori:
• l’organizzazione scolastica (modifiche apportate per favorire l’integrazione)
• le relazioni (atteggiamenti di tutti i soggetti interagenti)
• il processo di apprendimento (motivazioni, aspettative, risultati, valutazione, strategie
adottate, ecc.)
Per una “cultura della diversità ”, che costituisce la fondamentale premessa per realizzare un’autentica integrazione, occorre avvertire con urgenza l’esigenza di acquisire le conoscenze necessarie per affrontare -con competenza ed ampiezza di prospettive- le problematiche complesse caratterizzanti l’integrazione stessa.
E’ un argomento spinoso quello della formazione permanete del personale educativo nella Scuola italiana: ne è prova di come sia fortemente difficile per un consulente ABA promuovere specifici percorsi ed itinerari di formazione degli insegnanti di sostegno e ancor più degli insegnanti curricolari.
Le DINAMICHE RELAZIONALI: non si può parlare di integrazione dimenticando che il fondamento di ogni relazione è la disponibilità ad accettare e ad accogliere l’altro, e ancor più l’altro che necessita di interventi pensati, mirati, personalizzati.
L’integrazione delle persone in situazione di handicap, ad ogni livello – anche scolare - , dipende in larga misura dagli atteggiamenti assunti nei loro confronti dai soggetti interagenti; nella scuola: dal personale scolastico - direttivo, docente e non docente- dai compagni di classe, dal clima relazionale d’istituto e di classe, ecc.
Sento l’esigenza, lontana da ogni polemica, di richiamare l’attenzione su un aspetto a me particolarmente caro per la mia impostazione professionale e per l’esperienza educativa svolta in questi anni nell’attività dapprima di docenza e oggi di consulenza nei diversi ordini e gradi dell’istruzione scolastica:
L’ORGANIZZAZIONE DELL’ATTIVITA’ DIDATTICA IN CLASSE.
Questa risulta spesso carente nei docenti soprattutto per ciò che riguarda:
- il grado di consapevolezza sullo specifico impegno nella scelta degli obiettivi educativi, delle conoscenze / competenze / capacità , delle strategie e dei sussidi didattici... tesi a facilitare i processi di integrazione degli alunni disabili ( la formulazione del PEI spesso è ridotta ad un mero adempimento);
- la capacità di cogliere l’effettiva complessità della problematica integrativa scolastica, soprattutto nella ristrutturazione dell’attività educativa a partire o muovendo dalla situazione personale di ciascun soggetto (tenendo conto delle capacità , dei tempi degli stili di apprendimento di ogni alunno);
- la consapevolezza che spesso l’ambito educativo in cui si svolge l’integrazione dell’alunno disabile non è né la classe né il gruppo, poiché la sua presenza ha indotto i docenti a modificare il modulo didattico tradizionale (=affidamento al docente di sostegno fuori dalla classe...)
Le riflessioni sull’inizio del nuovo anno scolastico sono veramente tante ed animano il mio agire, il mio progettare con ed insieme alle istituzioni e ai docenti con i quali collaboro, ma vorrei concludere con riferimento proprio agli INSEGNANTI DI SOSTEGNO.
E’ urgente passare dalla prospettiva del sostegno come “insegnante” a sostegno come “rete di interventi” (di cui l’insegnante tesse la TRAMA DEI RAPPORTI SOLIDALI E DI ACCOGLIENZA): è nel coinvolgimento di tutto il “sistema scuola”, e non solo in quello di alcune figure professionali, che realisticamente consente la possibilità di una autentica integrazione scolastica. La figura del docente specializzato resta indubbiamente essenziale, ma la risposta all’esigenza di integrazione di tutte le “differenze” (di cui la disabilità non rappresenta che una minima parte) non può più esaurirsi nella presenza dell’insegnante di sostegno: TUTTO il personale scolastico deve essere qualificato per... e la singola scuola deve progettarsi come organizzazione qualificata di servizi capace di rispondere alle esigenze dei suoi diversificati utenti.
Il ruolo del Docente di sostegno specializzato, come figura di sistema a disposizione dell’Istituto per attività di sostegno, si caratterizza come esperto a disposizione della scuola (leggasi: presidi, docenti, personale ATA, alunni, genitori, territorio...) per sostenere e garantire la rete degli interventi integrativi.
Incoraggio pertanto ciascun docente di sostegno ad accogliere con entusiasmo e collaborazione fattiva l’aiuto degli esperti (cfr. anche in consulenti) in un’ottica di cooperazione per la costruzione di percorsi di apprendimento individualizzati efficaci e fruttuosi per chi viene affidato alla nostra azione educativo-abilitativa.
Con questi pensieri, che rappresentano delle gravose consegne per il nostro agire di professionisti, docenti, rappresentanti delle istituzioni, genitori… auguro a tutti un buon Anno scolastico, ricco di nuove energie e tanta tanta positività : la nostra serenità è indispensabile per la serenità dei ragazzi, la nostra voglia di fare e sperimentarsi ogni giorno è quel quid che segna l’esemplarità dell’essere maestro e guida.
Buon lavoro a tutti!
Danilo Verdicchia
Danilo Verdicchia, 30 anni, Dottore in Filosofia, Scienze dell’Educazione e della Formazione e specializzando in Analisi e modifica del comportamento presso il Florida Institute of Technology, svolge la libera professione di Consulente junior practicum ABA/VB con bimbi, adolescenti e adulti nello spettro autistico. Ha ricoperto il ruolo di docenza nella scuola dell’Infanzia e nella Scuola Secondaria e attualmente prosegue gli studi universitari nel corso di Laurea in Scienze e Tecniche psicologiche.