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Un nostro ragazzo racconta la lotta quotidiana per il diritto allo studio e al rispetto
 
LA MIA LOTTA PER POTER STUDIARE




Io mi chiamo Angelo Federico Chini. Sono nato a Cles (TN) il 14 ottobre 1987.

Le prime cose che mi ricordo: potevo avere 4 anni andavo all'asilo e le maestre mi trattavano come un bambino diverso dagli altri perché non parlavo. Io capivo tutto, ma non riuscivo ad esprimermi, come del resto ancora adesso. Mi piaceva molto stare con gli altri bambini, loro mi facevano sentire importante.

Quando sono andato alle elementari sono incominciati i miei problemi: ero in una classe di 12 bambini, ma a loro era permesso di studiare invece a me no, io secondo loro non potevo apprendere perché non potevo rispondere e quindi non mi insegnavano niente, io ero sempre fuori dall'aula e loro imparavano tante cose.

Io  cercavo di fare le stesse cose quando mi portavano nell'aula. Senza che la mia maestra personale mi spiegasse niente, riuscivo da solo a capire la lezione.

Poi mi ricordo una volta... stavano imparando la progressione dei numeri e io avevo capito la lezione, mi sono messo ad indicare i numeri che erano disegnati sui cartelloni appesi al muro, tutti  si sono meravigliati e mi hanno fatto tanti elogi.

Pensavo che finalmente avessero  capito che avevo un cervello che funzionava, invece il giorno dopo le maestre incominciarono a trattarmi come uno stupido.

C'era solo una maestra che mi rispettava e diceva a tutti che ero molto intelligente, ma nessuno la credeva, pensavano che fosse una bugiarda, perché si lasciava intenerire dal mio strano comportamento. Lei è stata la prima a credere in me.

I primi 4 anni delle elementari sono trascorsi cosi.

All'ultimo anno ho scoperto la C.F. per comunicare e la mia vita è cambiata un po'. Potevo finalmente accedere alle attività che facevano i miei compagni. Solo che loro hanno finito quell'anno e io ho dovuto ripetere la 5° per svolgere il programma che non avevo fatto. Ma non per colpa mia.

Lo so, penso che ora vi chiedete se è vero che scrivo io, ma la mamma mi tocca il braccio sinistro ed invece io scrivo con la mano destra, quindi non può aiutarmi perché non sa cosa voglio dire.

Ritorniamo alla mia storia. Dopo le elementari ci fu il passaggio alla scuola media.

Qui fu meno traumatico: non mi trattavano come uno stupido, ma nemmeno come uno studente in difficoltà che poteva essere aiutato a far emergere la sua voglia di essere come gli altri.

Dopo mi iscrissi al Liceo: il primo anno tutto sommato andò anche bene, nella mia pagella c'erano molti bei voti. 

Il secondo anno fu un disastro, arrivò una prof di sostegno che non voleva aiutarmi e pensò bene di dire a tutti i professori che non era vero che io ero intelligente: io secondo lei ero un mago, riuscivo a leggerle nel pensiero e quindi facevo delle belle verifiche, cosa molto stupida perché io quando i professori spiegavano ascoltavo con attenzione anche se sembravo agli altri molto distratto, perché il mio cervello seguiva, ma il mio corpo continuava a fare cose strane, cioè a prendere le carte e farne tante piccole palline e metterle tra i  tasti del PC, oppure continuare a picchiettare tutto quello che trovavo. 

Quell'anno si concluse con la mia bocciatura (ancora una volta non per colpa mia), ma avevo studiato solo i primi mesi e poi nell'attesa di capire se ero un mago i professori non mi fecero più studiare e mi proponevano di fare cose dell'asilo, volevano portarmi alla classe superiore, ma senza studiare, solo andare in giro nel cortile.

I miei genitori allora decisero di farmi cambiare istituto. Questo era in un altro paese e la mattina dovevo alzarmi presto: il pulmino che mi accompagnava alla scuola andava a prendere anche un'altra alunna che abitava in un paesino lontano e quindi per arrivare a scuola ci mettevo un'ora quando potevo metterci solo 20 minuti. La cosa si ripeteva anche al ritorno, tutto questo per far risparmiare il servizio trasporti per disabili.

Si, mi sentivo come una persona oggetto, servivo solo per far guadagnare gli altri.... io ero un oggetto... quando non servivo più mi chiedevano se volevo andare a passeggio invece di stare in classe, perché secondo loro a me non serviva studiare.

Perché io sono autistico e pensavano che non avessi cervello, invece io ne ho, lo ho sempre avuto. Anche quando stavo molto male capivo che i dottori non mi curavano come si curano le persone normali, erano sempre vaghi e non approfondivano mai da dove poteva venire la causa del mio malessere.

Mi ricordo che non andavo mai in bagno e nessun dottore si sognava di farmi fare degli esami specifici per capire il mio problema, per loro io ero autistico e quindi avevano fatto anche la diagnosi per la mia pancia.

Riprendiamo il discorso con la scuola. I primi anni nella nuova scuola furono anche molto divertenti. Il problema arrivò quando arrivai in 5°. La prima volta che feci la quinta sapevo di non fare l'esame, dovevo studiare poche materie e le altre le dovevo studiare l'anno successivo per poi fare l'esame.

Invece i professori pensarono solo a non farmi fare niente.

Allora non capivo questo loro comportamento nei miei confronti, pensavo che mi volessero aiutare, invece pensavano solo a loro stessi, a non fare il proprio lavoro, quello per cui erano stati incaricati.

Per protestare mi misi a comportarmi male, facevo tante cose brutte, strappavo tutto e rompevo tutto. Mettevo la saliva dappertutto, anche addosso a loro, tenevo sempre la lingua da fuori. Era una mia protesta per farmi capire.

Loro pensavano di fare i furbi perché pensavano che non capivo cosa combinavano, non facevano niente per me, solo portarmi in giro per i corridoi.

Penso che gli altri mi vedevano come un povero stupido, invece io capisco tutto. Non ho la parola, ma penso che l'acquisterò, già da qualche anno riesco a dire qualcosa perché adesso mi sento più maturo ed ho meno paure, quindi sono molto più coraggioso per affrontare le cattiverie della gente.

Quindi anche la seconda volta che ho ripetuta la 5° è stata una lotta. Io volevo studiare e fare l'esame, loro invece pensavano a come farmi star male e così non andavo a scuola e risparmiavano anche di sopportarmi.

Avevano deciso con la dirigente di farmi ripetere per la terza volta la 5°, ma senza fare l'esame, dovevo andare a scuola solo ad essere un oggetto per far guadagnare loro lo stipendio senza fare il lavoro per cui erano stati incaricati, perché io ero autistico e non mi serviva studiare.

Allora mia mamma interpellò un signore che ha un figlio con i miei stessi problemi, però era riuscito a diplomarsi e frequentare l'università. Questo ci indicò il centro CNAPP di Roma, per cui andammo e lì la dottoressa Benassi, sentita la mia brutta esperienza nella scuola, decise con i miei genitori di farmi iscrivere al liceo Psicopedagogico “Elena Principessa di Napoli” di Rieti, anche perché se continuavo a stare in Trentino un po' alla volta mi avrebbero distrutto del tutto. Infatti non avevo più stima di me stesso.

A settembre con la mamma ci trasferimmo a Rieti, e lì incominciai a frequentare la scuola e la classe 5° per la terza volta.

Il primo giorno di scuola fu molto bello: ero in una classe con tante ragazze, tutte belle.

Mi sentivo molto apprezzato dai professori e dalle mie compagne, mi facevano sentire importante: loro non mi prendevano in giro come facevano i compagni che avevo avuto nelle altre scuole. Per loro ero un compagno molto speciale, mi trattavano come una persona a cui manca il linguaggio verbale, ma non per questo mi tenevano lontano, anzi cercavano di mettermi a mio agio.

I professori erano tutti bravi, mi consideravano come uno studente che aveva una intelligenza e una voglia di essere trattato come gli altri studenti.

Ho avuto finalmente quello che cercavo da quando ero piccolo, un ambiente dove ci sono persone che ti danno fiducia.

Mi sentivo molto orgoglioso di aver incontrato persone che mi incoraggiavano a proseguire gli studi.

Io sono rinato un'altra volta a Rieti. Lì ho capito che ero una persona e non un oggetto che quando non serviva più doveva passare per matto.

Io ho solo la sfortuna di non riuscire a parlare, ma non perché non lo so fare, perché ho paura che gli altri possono deridermi come facevano le maestre quando ero piccolo, che mi consideravano molto stupido e non provavano ad insegnarmi niente.

Quando si avvicinava il giorno dell'esame di maturità dentro di me si scatenò l'inferno. Avevo paura che anche questa volta non mi facevano fare l'esame, quindi incominciai a comportarmi come un selvaggio: continuavo a mettere saliva dappertutto, a sputarmi addosso, a strapparmi i vestiti. Non riuscivo più a seguire le lezioni: le mie compagne cercavano di aiutarmi a calmarmi, ma non le credevo, pensavo che alla fine loro avrebbero fatto l'esame e io no.

I professori mi facevano capire in tutti i modi che per loro il mio essere diverso non era un problema, per loro ero un ragazzo molto intelligente e quindi non avevano paura di portarmi all'esame.

Ma io ero molto incattivito dalle delusioni ricevute e non ascoltavo neanche loro.

Quando ho visto che ero stato ammesso a sostenere l'esame, mi sono incominciato a calmare, perché ho capito che facevano sul serio, non mi prendevano in giro come i professori avevano fatto le altre volte.

All'esame sono stato molto bravo, sono riuscito a svolgere le tracce date dal Ministero.

Pensavo di non essere all'altezza, ma ci sono riuscito e questo mi ha reso più forte.

Dopo l'esame ho detto alla mamma che avevo intenzione di continuare a studiare e iscrivermi all'università alla facoltà di Filosofia. Lei si è informata dove potevo iscrivermi e la scelta è stata quella dell'Università di Genova.

Qui mi trovo molto bene, i professori sono molto bravi e non mi fanno sentire a disagio, anzi mi incoraggiano ad andare avanti.
Penso che adesso sono molto più sicuro di me e questo mi rende felice, perché ho lottato per anni, mentre nessuno voleva capirmi.
 



 
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